L’eremita della Morra Ferogna
La tranquillità, la solitudine e le altezze, proprie dei territori montuosi, sono state da sempre caratteristiche ricercate dagli eremiti cristiani per allontanarsi dalle distrazioni mondane. In passato, nel Lazio, i monti Simbruini sono stati eletti a propria dimora e rifugio da alcuni di loro. Il più famoso è senz’altro San Benedetto da Norcia, che visse all’interno di una grotta dove passò una parte della sua vita eremitica e dove circa mille anni fa venne edificato in sua memoria il Monastero del Sacro Speco. La conformazione dei luoghi che attraverseremo con questa escursione attrasse invece una giovane ragazza d’origini abruzzesi di nome Chelidonia, che a soli vent’anni scelse di ritirasi a vivere all’interno di un pertugio nella roccia calcarea dove rimase per circa 59 anni. Nelle vicinanze del luogo in cui visse, una formazione rocciosa a forma di panettone, la Morra Ferogna, domina la valle e Subiaco: qui la santa soleva recarsi in preghiera e contemplazione.
Morra Ferogna
Incastonata nel Parco Naturale dei Monti Simbruini, la morra è una rupe di roccia calcarea con una parete strapiombante che affaccia su Subiaco. Il suo nome deriva dalla dea romana della fertilità e protettrice dei boschi Feronia.
Una volta arrivati a Campaegli e dopo esserci preparati a dovere, iniziamo il nostro percorso all’interno del Parco dei Monti Simbruini, tra natura e sacralità. Lasciamo alle nostre spalle la piccola frazione di Cervara di Roma per dirigerci verso un pianoro aperto, poggiando i nostri scarponi su di un morbido tappeto d’erba. L’andatura è facilitata dal fondo percorso, che ci conduce agilmente quasi al di sotto del Monte Calvo, lasciando alla nostra sinistra il Monte Pelato. Fin qui il nostro passo è facilitato dalla totale assenza di dislivelli. Abbandonato il pianoro, iniziamo una rilassante discesa all’interno di un fitto bosco di faggi. Durante la nostra sciolta andatura, ecco comparire, inizialmente nascosta tra gli alberi, la Morra Ferogna, una severa rupe che si affaccia su di un vasto panorama. Proprio lì, in mezzo alla boscaglia e attualmente non visibile, sappiamo nascondersi l’eremo di Santa Chelidonia, la nostra meta finale.
In prossimità della rupe affrontiamo una graduale pendenza che ci conduce alla croce di vetta, sfilando al fianco della parete rocciosa che risaliamo con passo sicuro tra alcune piccole rocce. Una volta arrivati ci soffermiamo ad ammirare il panorama con la bella Subiaco sullo sfondo. Scendiamo dalla vetta e ci dirigiamo lungo un sentiero bordato di cipressi verso l’eremo, luogo che rievoca altri tempi. Varchiamo l’imponente arco in pietra massiccia e costeggiamo i resti dell’antico monastero del XII secolo, un’opera tanto più impressionante se pensiamo all’epoca e al luogo remoto in cui si trova.
Con il dovuto rispetto e silenzio, visitiamo la piccola chiesetta che conserva un antico affresco raffigurante il Cristo, il pertugio nella roccia dove la santa si rifugiava e ci soffermiamo ad osservare i resti dell’antica struttura.
L'Eremo di Santa Chelidonia
Nel 1161 l’Abate Simone fece costruire questo monastero per le sacre vergini. Solo in un secondo momento, nel 1245, dopo un importante restauro voluto dall’Abate Enrico questa struttura religiosa assunse il nome di Santa Chelidonia. Fino al 1411 il monastero era abitato, ma a causa delle scorribande di soldati appartenenti al Regno di Napoli, le monache lo abbandonarono.
E’ giunto il momento di ritornare e qui viene la parte più faticosa: bisogna ripercorrere a ritroso il sentiero fatto in discesa, che in sé non presenta grandi pendenze, ma dopo una mattinata di cammino potrebbe essere stancante. Gran parte del dislivello della giornata si concentra proprio in questo tratto. Ma noi con i nostri zaini saldamente poggiati sulla schiena non ci lasciamo intimorire e la precorriamo fino ad ritornare al pianoro di Campaegli.
Una volta affrontata e completata la salita, ci riposiamo e recuperiamo le forze prima di chiudere l’anello e ritornare al punto di partenza passando attraverso l’alta via del Monti Simbruini che permette in tre giorni di attraversare l’intero parco, da Cervara di Roma a Campo Catino. Noi ne assaggiamo una parte, un percorso pianeggiante e molto panoramico tra rocce calcaree disseminate qua e là sul terreno e boschi di faggi, che chissà, ci potrebbe far venire voglia di percorrerlo tutto.
Scheda escursione
DETTAGLI TRACCIATO
Giro parzialmente ad anello con rientro al punto di partenza. I sentieri sono in buone condizioni.
VALUTAZIONE DIFFICOLTA’
L’itinerario non ha particolari difficoltà tecniche. Il fondo nel primo tratto è pianeggiante ed erboso, su di una carrareccia. Nella seconda parte il fondo è di sottobosco, con presenza di rocce e radici. La salita alla Morra presenta alcuni facili passaggi su roccette.
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